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More le mosche

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Cena soci. Al club del Gobbato, per riprendere possesso della nostra struttura storica, per rivivere dopo anni di abbandono il nostro vero club, con una storia alle spalle fatta da gestioni spesso difficili, ma che per tanti anni non ha mai fatto mancare il senso di casa agli appartenenti alla società.

In effetti per sentirsi veramente a casa nel vecchio prefabbricato recuperato nel post ricostruzione del terremoto del Friuli bisogna averci lavorato lì dentro, averlo pulito chissà quante volte, e ridipinto, aver vissuto le sorti dei mobili della cucina, del bancone, dei furti e degli atti vandalici. Ma anche le feste e le cene di tanti che lì dentro, per un motivo o per un altro, casualmente ci si son ritrovati. Magari per la cena del cinghiale degli ex colleghi di Augusto, o per gli ossi de mas-cio, financo per un corso di salsa, non per la pasta ma latino-americana. Terzi tempi? una infinità. E forse di più. Almeno due infinità!

Sono state le nostre consigliere Silvia e Alessandra a promuovere la cena dei soci, che noi tante cose non le pensiamo, con alcuni dei ragazzi a servire. Ma una società cos’è se non un insieme di persone che al primo posto si assumono un impegno, anche minimo, e che comunque scendono in campo, ci mettono la faccia, si prendono una responsabilità, con obiettivo finale il bene della società stessa. E spesso non ci si conosce, si pensa di essere pochi o addirittura da soli,o non ci si dà abbastanza importanza, che al di là di chi gioca, chi allena, chi accompagna ed organizza l’attività, il punto fondamentale di una società sportiva sono proprio queste persone: i soci.

Ci siamo ritrovati a cena, a casa nostra, il club, magari riscoprendo qualcuno che si vede poco, ma è socio, o qualcuno che vedi spesso, che si dà da fare, ma manco sapevi che fosse pure lui un socio, e complice l’ambiente e l’appartenenza ci siamo ritrovati amici, come una volta, come adesso, forse per sempre.

Come spesso nel rugby si dice per sottolineare un rapporto duraturo: ci ho giocato insieme! O contro, che nel rugby è quasi uguale. Per i più bravi:l’ho allenato io! Per qualche altro: quellol’ho portato io a giocare! Appartenenza. Graziano ha intonato qualche canto, lo stanzone è rimasto un po’ sorpreso, non se li ricordava nemmeno più! I canti appartengono ancora al mondo Olds, nei ragazzi si sono un po’ persi. A dire il vero, meglio che qualcuno lo abbiamo perso! Però…

Il giorno dopo incrocio mio cognato, socio del rugby da quando i figli giocavano nel mini e ora sono laureati, in parcheggio, sorride e rivolgendosi a mia figlia Vitto che lavora con lui dice: abbiamo fatto una bella cena ieri sera, al club, hanno anche cantato una canzone a tuo papà! E il sorriso aumenta. Vittoria, sempre seria, non si scompone minimamente: “More le mosche! Gliela cantano sempre!” Lei non viene quasi mai alle partite, eppure è sempre aggiornata e non dimentica nulla.

More le mosche! Io l’avevo storicamente attribuita per anni a Gianni Canova, che un po’ si offendeva, un po’ sorrideva, spiegando che qualcuno lo doveva pur fare! Di sicuro se l’è sentita Angelo Gobbato, probabilmente Silvio Marchetto, attualmente, poco da fare, è di Augusto (ma incute più timore) e mia. L’ho sentita con piacere, per il posto dove eravamo, per il senso della cena, perché eravamo in tanti e con la giusta compagnia!

More le mosche… mai avrei pensato che mi avrebbe fatto così piacere!

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