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Così, per caso una HAKA

E’ partito tutto così, con una serata a tema presentazione progetto Libera Palestra del Retrone assieme al gruppo culturale Vinova e a nostri amici sostenitori e sponsor, e mi ritrovo davanti ad una proposta di un’oretta dedicata ad una scuola di Haka curata da Manawa Studio.

Io volevo presentare una attività di team building rugby, le persone in campo mi stavano benissimo, ma quando mi han parlato di Haka ho detto subito assolutamente no! Troppo rispetto per il significato della Haka che è una cerimonia, non una danza di guerra come siamo abituati a ritenerla vedendola in televisione prima delle partite di rugby. Troppi i ricordi per quella Haka nelle intenzioni meritevole che pubblicizzava la Fiat Idea con un gruppo di giovani mamme alle prese con le fatiche quotidiane, ovviamente carine e vestite di nero, con tanto di linguaccia finale del figlio, che a me era piaciuta tantissimo, ma quasi nessuno in Italia aveva capito, e che non era stata per niente apprezzata in Nuova Zelanda, dove la Fiat era entrata con il mercato degli autocarri; fischi anche per un falso Milan del calcio impegnato prima della partita vera in una simulazione senza senso. Io nei corsi faccio vedere la Haka fatta in Galles, quando alla fine nessuno si spostava per andare a giocare e lo stadio di Cardiff impazziva.

Poi mi hanno spiegato che non era simulazione, c’erano due Maori veri, che il corso era una proposta reale per creare spirito di gruppo e imparare a trarre energia dai gesti e dalla terra. Come dire di no! Però sicuramente sarei stato in disparte. Ho solo detto: attenzione, niente buffonate, perché in un campo da rugby tutti sanno di cosa si sta parlando, tutti sanno cos’è, non voglio far brutta figura con i miei.

Poi arrivano gli ospiti, arrivano i gruppi, deve funzionare tutto e bisogna fare accoglienza, un po’ ti diverti e un po’ ti distrai. Arriverà anche Daniela Sbrollini che subito condivide e posta sul suo sito il nostro progetto con invito a votarlo. Non tutti sanno che è responsabile nazionale per lo sport del PD, e che con il rugby ha un occhio di riguardo a livello nazionale, non solo a per il rugby Vicenza e in prossimità di elezioni la criticano.

Arrivano anche i Maori, dovevano essere quattro invece sono solo due, ma basta e avanza. Lei ha un fisico importante, un tatuaggio sul mento che guardi anche se non vuoi e due occhi scuri dolcissimi, le spiego che io non volevo fare questa ora di corso, poi avevo letto la sua presentazione e avevo capito che era una cosa seria. Lei a bassa voce mi ringrazia, parla piano, mi stringe la mano e capisco che ringrazia non perché è lì con noi, ma perché si accorge che attorno più di qualcuno sa, e sente il nostro rispetto.

Quando i bambini che sono sul campo vedono i due personaggi nero vestiti subito alzano le antenne, quando compaiono le parole scritte su un grande foglio non ci sono più dubbi, il ritmo esce dal foglio e diventa sonorità. Tutti sanno subito cosa è. I grandi, quelli arrivati lì per caso, sorridono, la scuola la fanno i nostri bambini, sono seri e contagiosi. Un papà allenatore che sicuramente è Maori dentro mette tutti in fila, o in riga , non si è ancora capito come e dove, ma in un attimo, diciamo due, sono schierati e in silenzio. Mi trovo in fila (o in riga) anch’io.

Lei si trasforma, diventa energia, gli occhi sono determinati e scuri, le mosse sono di una pantera: a piedi nudi prende energia dalla terra. Invita chi è spettatore con una birra in mano ad allontanarsi, gentilmente dice – il cibo è un’altra energia-. Brivido. Poi le parole, per loro facili, per noi per niente, i gesti sono più semplici, ma solo apparentemente perché il tempo di esecuzione e l’accordo tra tutti è fondamentale. Lui ci dà il tempo. Non c’è nulla di facile e nessuno scherza. Il piede batte a terra e rimbalza in alto, dobbiamo ricavarne l’energia, richiamarla dalle viscere del suolo, non pestolare timidamente.

I bambini sono bravissimi ed educati, anche noi adulti un po’ alla volta cominciamo ad entrare nella parte. Ma non siamo bravi, abbiamo ancora addosso i nostri vestiti e i nostri ruoli, non siamo liberi, siamo vestiti dentro. Non arrivo alla fine, troppe persone mi aspettano al bar, devo scappare, mi spiace tantissimo. Si concluderà tutto bene e poi lei verrà a cercarmi per ringraziare ancora una volta. Gli occhi scurissimi sono tornati dolci, i muscoli e l’energia dei movimenti non sono più evidenti, e un’altra persona, mi dice parole sagge che tengo per me.

Mi prendo un sacco di critiche, devi farlo per tutti, dovevi avvisarci, se lo sapevamo facevamo venire anche Tizio e Caio… Come faccio a spiegare che mi è capitata una Haka così, per caso, perché l’ha portata Vinova? E che io nemmeno la volevo?

La prossima volta non sarà un caso! Grazie a Sam Manawa e al suo compagno.

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